Universal Design
progettare per un'utenza ampliata
1. Non esiste l'uomo "standard"
Una progettazione che interpreti le esigenze del maggior numero possibile di persone non trova ancora nel nostro Paese un degno riconoscimento, anche se alcuni Enti Pubblici iniziano a mostrare interesse per la fruibilità e la "vivibilità" degli spazi.
L'attenzione specialistica e settoriale nei confronti delle difficoltà delle persone con disabilità ha portato a progettare in base ad un approccio limitato, mirato a soluzioni "speciali", a misura di disabile, contrapponendo uno standard di disabilità allo standard dell'"uomo medio".
L'esigenza che emerge dalle riflessioni di chi si è confrontato concretamente con questi temi è quella di un atteggiamento che sappia prestare maggiore attenzione all'utente, a chi sarà il fruitore del progetto stesso. E' necessario ripensare all'"uomo", o meglio all'"essere umano": al suo essere uomo o donna, soggetto che evolve da bambino ad anziano, a persona che nel corso della vita può andare incontro a cambiamenti temporanei o permanenti e presentare caratteristiche differenti da quella "normalità" definita arbitrariamente da convenzioni che si sono dimostrate inadeguate.
Con questo non si intende sminuire le problematiche di chi deve misurare la propria esistenza con la disabilità, ma - al contrario - mettere in evidenza la necessità di un nuovo approccio al progetto, un approccio olistico che consideri le problematiche nella logica dell'Utenza Ampliata.
Progettare per l'Utenza Ampliata significa considerare le caratteristiche delle persone come condizione di partenza, come elementi in grado di stimolare le potenzialità del progetto e non come vincolo al progetto stesso. In questa logica non esiste un progetto "speciale" contrapposto - o alternativo - a quello "normale", ma un tentativo di estendere il grado di fruibilità del progetto in modo da tenere in considerazione le esigenze del maggior numero possibile di persone, siano esse abili o con disabilità.
Nella logica dell'Utenza Ampliata si cerca, per esempio, di pensare come vive la città un bambino, qual è il suo punto di vista, quali le sue dimensioni antropometriche; come si muove un anziano, che non sempre è "disabile" ne' si riconosce come tale.
Il tema dell'accessibilità non può essere ricondotto solo ad alcuni elementi - come lo scivolo per le carrozzine - che diventano modello dell'intervento attento alle persone disabili. In questo senso le vigenti prescrizioni normative in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, che di fatto lasciano molto spazio alle capacità dei progettisti, debbono essere accolte come dei requisiti minimi/limite da migliorare per dare forma a spazi in cui gli aspetti estetico-formali sappiano affiancarsi a quelli funzionali, privilegiando, di fatto, una logica esigenziale e prestazionale rispetto ad una logica meramente prescrittiva.
Con questa attenzione ben vengano nuove idee progettuali: senza dubbio è un ambito in cui c'è molto da fare. A condizione che si sappia affrontare l'argomento con competenza, rigore, fantasia e ampiezza di vedute.
2. Universal Design
L'Universal Design ha il suo padre spirituale in Roland Mace, che utilizzò per la prima volta questa dicitura nel 1985. Esprime un concetto che ristabilisce in modo critico un obiettivo fondamentale di buona prassi teorico-progettuale: cerca di rispondere alle necessità del maggior numero di utenti possibile. Esprime quindi la tensione a un obiettivo di valore, non un insieme di requisiti dimensionali. Sfida i progettisti a pensare, oltre la conformità ai codici e alle caratteristiche speciali di utenti specifici, per trovare soluzioni che includano i bisogni di diversi destinatari. D'altra parte occorre tenere presente che le due guerre mondiali combattute nello scorso secolo hanno generato una popolazione di veterani disabili, mentre i progressi della medicina hanno permesso alla gente di sopravvivere a incidenti e malattie in passato mortali. Inoltre le persone con disabilità hanno progressivamente aumentato il loro potere di acquisto e denunciato la parziale inadeguatezza delle semplici tecnologie per l'assistenza.
Anche in relazione a questi mutamenti, negli ultimi dieci anni si è assistito a un crescente interesse per le logiche dell'Universal Design come alternativa al Barrier-Free Design. La presa di coscienza di questi cambiamenti ha fatto sì che a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta i produttori abbiano cominciato a interessarsi al potenziale ed esteso mercato di prodotti progettati secondo questa logica non discriminatoria. Pur non sapendolo, molte persone che non hanno (o non ritengono di avere) una qualche forma di disabilità, beneficiano oggi quotidianamente delle caratteristiche di prodotti sviluppati a partire da quelli nati per persone con disabilità.
L'Universal Design definisce l'utente in modo esteso e non si concentra solo sulle persone con disabilità. Suggerisce di rendere tutti gli elementi e gli spazi accessibili e utilizzabili dalle persone nella maggiore misura possibile. Non implica che tutto sia completamente utilizzabile da parte di tutti: il termine si riferisce più all'atteggiamento metodologico che a un rigido assunto dogmatico.
L'Universal Design si propone di offrire soluzioni che possono adattarsi a persone disabili così come al resto della popolazione, a costi contenuti rispetto alle tecnologie per l'assistenza o ai servizi di tipo specializzato. Nel 1997 sono stati definiti 7 principi di progettazione secondo la logica dell'Universal Design, compilati da chi, in America, ha scritto la storia di questa filosofia.
Bettye Rose Connell, Mike Jones, Ron Mace, Jim Mueller, Abir Mullick, Elaine Ostroff, Jon Sanford, Ed Steinfeld, Molly Story, and Gregg Vanderheiden. Questi i nomi dei componenti del gruppo di lavoro formato da architetti, designer, assistenti tecnici e ricercatori nell'ambito della progettazione ambientale, che hanno scritto i principi base di questa filosofia progettuale.
Tali principi, oltre ad essere applicabili a tutte le discipline di progetto, costituiscono strumenti utili a valutare progetti esistenti, guidare il processo di progettazione e istruire progettisti e consumatori sulle caratteristiche che prodotti e ambienti dovrebbero avere.
Principio Uno: Equitable use (utilizzo equo, non discriminatorio)
Il progetto è utile e commerciabile per persone con differenti abilità.
Principio Due: Flexibility in use (utilizzo flessibile)
Il progetto è adattabile a una vasta gamma di esigenze e abilità individuali.
Principio Tre: Simple and Intuitive Use (utilizzo semplice ed intuitivo)
L'uso del progetto è facile da comprendere, indipendentemente dall'esperienza dell'utente, dalle sue conoscenze, dalla sua lingua o dal suo livello di concentrazione.
Principio Quattro: Perceptible Information (percettibilità delle informazioni)
Il progetto comunica efficacemente informazioni necessarie all'utente, indipendentemente dalle circostanze ambientali o dalle sue capacità sensoriali.
Principio Cinque: Tolerance for error (tolleranza all'errore)
Il progetto minimizza i rischi e le conseguenze negative di azioni accidentali o non intenzionali.
Principio Sei: Low Physical Effort (contenimento dello sforzo fisico)
Il progetto può essere utilizzato in modo efficace, confortevole e con un minimo sforzo.
Principio Sette: Size and Space for Approach and Use (Misure e spazi per l'avvicinamento e l'utilizzo)
Il progetto prevede spazio e dimensioni adeguate per l'approccio, il raggiungimento, la manipolazione e l'utilizzo di un oggetto al di là delle dimensioni fisiche, della postura o della mobilità dell'utente.
3. Barrier-Free Design
Questo termine, "germe" del pensiero che ha portato alla definizione dell'Universal Design, viene attualmente utilizzato con differenti accezioni, soprattutto in riferimento all'accessibilità dell'ambiente costruito. Inoltre, nei Paesi di lingua tedesca, con questa dicitura si usa tuttora identificare oggetti di uso comune e ausili. L'origine di questo atteggiamento progettuale è da ricercarsi in America nella seconda metà degli anni Cinquanta, e coincide con i primi tentativi di rimuovere le barriere architettoniche dall'ambiente costruito. La matrice di questo approccio è incentrata sulle caratteristiche di disabilità e, in un primo tempo, si riferisce esclusivamente a persone che utilizzano la carrozzina.
Progettare secondo una logica Barrier-free significa quindi rimuovere le barriere architettoniche servendosi di codici e regolamentazioni edilizie prescrittive. Qualche autore sostiene che gli standard dimensionali oggi presenti nell'ADA - The Americans with Disabilities Act, 1990 - seguano una logica barrier-free in quanto si focalizzano sulla possibilità tecnica di fruizione dell'ambiente da parte di persone con disabilità. Ma questa logica, sebbene molto importante, è soltanto uno degli aspetti che ha contribuito a formare questa legge fondamentale: infatti suggerisce - e non obbliga, pur ponendo vincoli inderogabili - ciò che è possibile realizzare, promuovendo di fatto la logica dell'Universal Design.
In America, nell'ultimo decennio, la dicitura Barrier-free design ha assunto una connotazione negativa e stigmatizzante, in quanto si suppone che essa sottintenda che un prodotto venga utilizzato esclusivamente da una persona con disabilità.
In Italia una logica barrier-free è ravvisabile nella normativa antecedente a quella attualmente in vigore, incentrata su dettami prescrittivi e non, come oggi accade, su requisiti esigenziali e prestazionali.
(La presente pagina "Progettare per un'utenza ampliata" è stata tratta da : www.superabile.it, il portale INAIL per il mondo della disabilità)