Concetti Base
Concetti di base sul mondo della disabilità
L'area di studio relativa all'accessibilità e alla fruibilità da parte di tutti i cittadini degli spazi costruiti, urbani ed edilizi, e più in generale del territorio anche non urbanizzato, assume sempre più un ruolo determinante nei confronti della ricerca progettuale finalizzata al potenziamento degli aspetti qualitativi dell'ambiente. Occorre quindi comunicare efficacemente, e far comprendere meglio, alcuni concetti base, ancora purtroppo non bene assimilati, relativi alla qualità e al "comfort ambientale ", a tutti coloro che si occupano di progettazione, realizzazione e gestione del territorio. Per questo scopo occorre provvedere alla diffusione di concetti tanto essenziali, quanto ancora sottovalutati.
E' necessario far comprendere appieno quali siano gli effettivi vantaggi per l'intera collettività dell'accessibilità, intesa come l'insieme delle caratteristiche distributive, dimensionali e organizzativo-gestionali, che siano in grado di consentire, anche alle persone con difficoltà di movimento o sensoriali, la fruizione agevole e sicura degli spazi e delle attrezzature, compresi i sistemi di trasporto. Puntando a questo obiettivo, diminuiscono gli ostacoli, le fonti di pericolo e le situazioni che provocano affaticamento o disagio, generalizzando i benefici dell'operazione.
L'accessibilità, come agevole fruizione dell'ambiente costruito e naturale, tende pertanto alla ottimizzazione delle risorse e delle energie sia umane che finanziarie. Essa non deve essere intesa come elemento episodico, anche se privo di barriere architettoniche, ma, più organicamente, come "sistema" diffuso e complesso per il comfort ambientale e urbano e per il potenziamento della mobilità sul territorio. Deve pertanto essere individuato il complesso degli elementi, collegati tra loro o interdipendenti, che consentano di avvicinarsi il più possibile al concetto di autonomia, di autosufficienza e conseguentemente di uguaglianza tra i cittadini. Si tratta, in altri termini, di tendere al raggiungimento delle "pari opportunità" per tutti, compresi coloro che appartengono alle cosiddette "categorie svantaggiate" o, meglio, compresi coloro che, per svolgere le diverse attività della loro vita, hanno particolari necessità.
A tale scopo occorre che l'accessibilità venga considerata non in maniera statica e ferma nel tempo, ma, al contrario, come una sorta di "work in progress" che, con l'aiuto della fantasia e della flessibilità, si adegui continuamente alle nuove esigenze individuate, anche utilizzando al meglio il rapido evolversi delle tecnologie.
In tal senso la disciplina in argomento interessa in maniera trasversale numerose materie di studio concernenti la progettazione e la realizzazione di tutto ciò che attiene al territorio: dai piani urbanistico - esecutivi alle sistemazioni ambientali, dai piani urbani del traffico alle sistemazioni dei parchi e delle aree verdi, dalla composizione architettonica al restauro e recupero dell'esistente, dall'organizzazione di manifestazioni, spettacoli e attività culturali o ricreative, anche se temporanee, all'architettura degli interni. I concetti chiave che costituiscono gli obiettivi dell'accessibilità, devono perciò essere considerati come "input" necessari per lo sviluppo corretto e responsabile di qualsiasi tipo di progetto per l'uomo.
La finalità da perseguire è quella di potenziare l'autonomia di ciascuno, consentendo l'accesso agevole e la fruizione generalizzata di tutto l'habitat in cui si svolge la nostra esistenza. Per questi motivi occorre abbattere alcuni stereotipi al fine di "smentire l'handicap".
La parola "portatore di handicap" o "handicappato" non ha infatti molto senso. Se si riflette su questo aspetto, ognuno ha delle differenti abilità, ognuno, a seconda dei periodi, ha delle differenti esigenze in funzione purtroppo di eventi che capitano, non fosse altro perché passano gli anni e si invecchia. Conseguentemente l'unica realtà "handicappata" che abbiamo è la città, il territorio: questo si è pieno di ostacoli e quindi si deve cercare di modificarlo.
Si tratta quindi di identificare quali sono le esigenze di questo grandissimo numero di persone con abilità differenti e cominciare a ragionare in termini di prestazioni diverse da fornire, sia nell'esecuzione di opere che nella fornitura di servizi. E' necessario quindi cercare di capire quali siano le diverse esigenze e le abilità specifiche e incentivare queste, anche se a volte sono "abilità residue". Questo è il motivo principale per cui si è scelto di riferirsi nello svolgimento del presente progetto alle persone con ridotte capacità motorie o sensoriali.
Anche il legislatore nel D.M. n. 236 del 1989, che ha un notevole numero di elementi positivi e di concreti suggerimenti, non usa mai la parola "disabile", "menomato", "handicappato" o "portatore di handicap". Questi termini sono stati correttamente sostituiti dalla dizione "persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali".Non quindi una categoria ma una circostanza sfavorevole. Smentendo così un altro dei luoghi comuni che pretenderebbe di identificare il "disabile" o "l'handicappato" con la persona su sedia a ruote, con il paraplegico.
Queste osservazioni appaiono opportune, perché le soluzioni tecniche che vengono generalmente immaginate dai progettisti sono, nei casi migliori, realizzate in funzione della persona che si sposta su sedia a ruote. Spesso senza nessuna chiarezza di idee; quasi sempre, infatti, le rampe hanno pendenze eccessive rispetto alla loro lunghezza e vengono realizzate con materiali sdrucciolevoli: sono scomode anche se sono "a norma". Infatti la norma va sempre interpretata e vanno capite le vere esigenze dell'utenza, con disabilità e non.
Va anche fatta un'attenta riflessione sulla quantità degli svantaggi che si presentano per la intera collettività a causa del nostro territorio, urbanizzato e non, scomodo e pieno di ostacoli. Molte persone col passare degli anni sono costrette, per via delle barriere architettoniche, a limitare la loro attività fisica, pur essendo ancora in grado di svolgere in maniera positiva le loro attività lavorative di tipo intellettivo, professionale. La collettività si autolimita perciò non consentendo a queste persone, considerate "disabili" o "handicappate", di estrinsecare le loro preziose capacità, a volte ancora notevoli anche sotto il profilo "produttivo". Bisognerebbe invece fare in modo che esse possano svolgere le loro attività lavorative ed avere una vita di relazione, andare a teatro, incontrare gli amici e svolgere una vita più "normale" possibile. Il concetto da sviluppare quindi è che lo Stato deve mettere i cittadini meno fortunati di altri in grado di esprimere al meglio le proprie potenzialità, diminuendo per quanto possibile gli svantaggi e utilizzando appieno le loro disponibilità, anche se limitate o "residue".
In sintesi un parco, una città che continuano ad avere ostacoli di vario genere sono "handicappati" e fortemente diseconomici, oltre che essere certamente discutibili dal punto di vista umano e sociale. Sociologi urbani hanno dedicato svariati saggi su questo delicato argomento e sono generalmente concordi nel dichiarare che il non provvedere all'eliminazione delle barriere architettoniche è anche un "cattivo affare" per la collettività.
Purtroppo la concezione comune da parte di molti settori dello Stato e di molti Enti Pubblici è tuttora quella che la loro eliminazione porterebbe un eventuale beneficio solo per quelle poche persone "handicappate". Questo ragionamento errato, moltiplicato per migliaia di casi, porta a delle concrete ingiustizie e a notevoli diseconomie generali: basti pensare, solo per fare un esempio, al caso della possibilità di fruire di spazi per gli spettacoli teatrali. Ormai non ci sono, per notevoli fasce di popolazione, grosse limitazioni dal punto di vista economico. Tuttavia svariate persone che intendono andare a teatro, spesso si trovano nell'impossibilità "architettonica" di poterlo fare. Il non rendere i teatri accessibili a tutti fa diminuire sensibilmente il numero degli spettatori, perché coloro che devono rinunciare a fruire di queste attrezzature non sono solo le persone con ridotta mobilità ma anche, spesso, i conviventi o gli amici. Tale discorso può analogamente essere esteso alle aree naturali protette. Bisogna quindi considerare anche questi effetti indotti in relazione al potenziale mercato.
Esiste poi un principio di fondamentale importanza al quale è necessario non ammettere deroghe: gli interventi mirati a garantire l'accessibilità e la fruibilità degli spazi verdi sia urbani che extraurbani non devono mai essere proposti solo per i cosiddetti "disabili", ma devono essere per tutti. Devono semmai essere resi fruibili anche dai disabili. E' necessario quindi tenere conto di un'utenza ampliata con esigenze complesse e differenziate. Affinché gli interventi siano davvero per tutti è necessario inoltre che siano interventi interessanti per tutti. L'accessibilità va quindi concepita come un aspetto funzionale necessario, ma non sufficiente a garantire l'efficacia e la qualità complessiva del progetto. Sempre in relazione alla qualità dell'intervento, specie all'interno delle aree naturali protette, visto che il contesto naturale è spesso vincolato da norme che possono anche essere stringenti, è necessario specificare che le soluzioni progettuali non devono mai prevalere sul contesto: anche negli interventi mirati a garantire l'accessibilità e/o la fruibilità, il rispetto delle valenze naturali, paesaggistiche, storiche e socio-culturali del sito oggetto dell'intervento deve rappresentare un obiettivo primario. Si segnala a tale riguardo che il D.M. n.236/89, che costituisce il regolamento di attuazione della L. n.13/89 relativa al superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati (art. 7, Cogenza delle prescrizioni), consente di proporre, oltre alle soluzioni conformi alle specificazioni, anche "soluzioni alternative", purché esse rispondano alle esigenze sottintese dai criteri progettazione e raggiungano quindi il risultato voluto.